Paolo C. (65 anni, commerciante)
Se vuole il mio parere, la chiave di tutta la faccenda è la macchina. La si trova e la soluzione di questo casino sarà lampante.
Avrei dovuto intuire che questa era una storia che non si vuol sapere come va a finire.
Avrei dovuto capirlo appena vista quell'andatura da funerale.
Io l'ho detto alla polizia che l'avrebbero dovuta cercare. Gliel'ho ripetuto venti volte quando sono venuti qua a chiedermi se avessi visto qualcosa. Il tizio, un ispettore fresco di promozione, quasi quasi mi rideva in faccia.
A me.
Si affacci un po'. Vedrà quanto siamo vicini alla scuola. Forse si riesce anche a fare qualche foto decente da allegare all’articolo.
È lì, all'incrocio con via Allende. Forza, usciamo. Ecco, quelli colorati sono gli scivoli del cortile. L'edificio è coperto dagli alberi, ma si fidi che non è lontano. Ogni mattina sento il casino che fanno i ragazzini all'entrata, all'uscita, alla ricreazione e all’ora di educazione fisica. Li sento da dentro la ferramenta, non c'è bisogno di uscire.
In genere, quando finiscono le lezioni, i ragazzini passano tutti da qui perché più in là c'è la fermata del 115 e il panificio. Mentre aspettano l'autobus capita che prendano qualcosa da mangiare.
Quelli più comodi invece lasciano che i genitori li vadano a prendere davanti alla scuola. Non sia mai che facciano un passo. Ci manca solo che entrino con la macchina dentro alla classe.
Barbara era una di quelle che prendevano l'autobus.
Un mio amico d'infanzia era suo zio, poveraccio è morto tre anni fa, quindi lei la conosco di vista. Non che passasse inosservata. Sempre a ridere in mezzo alla strada, con le sue amichette, lo zaino più grande di lei. Uno zaino così grande e però lei saltellava lo stesso. Sembrava potesse portarsi il mondo addosso e aveva ancora tutta quella foga.
I giovani. La mia è tutta invidia.
Di solito Barbara arrivava da via Allende circa dieci minuti dopo il suono della campanella. L'autobus passa all’una e venti, quindi lei aveva tutto il tempo di fermarsi a chiacchierare con le amiche davanti all'entrata della scuola senza perderlo.
Passava qua davanti e io la salutavo con la mano. Lei ricambiava, da lontano. Non si fermava a parlare con me o altre robe del genere. Ero un conoscente che salutava. Stop.
Quel giorno però ho visto solo le sue amiche che svoltavano da via Allende. Quando sono arrivate più vicino mi sono accorto che Barbara non era con loro. Mi è sembrato strano perché sua mamma è una che ci tiene alla scuola e le fa fare pochissime assenze. Però non ci ho dato peso, sul momento. Poteva sempre essere malata, no?
Era come se mi fossi dimenticato della storia della macchina. Cioè, proprio come se non l'avessi mai vista. Ed è strano perché, va beh che sto diventando vecchio, ma io me le ricordo le cose che non quadrano.
Mi ero accorto della macchina verso mezzogiorno, prima della fine delle lezioni e dell’uscita dei ragazzi. Se avesse tenuto un'andatura normale non ci avrei fatto caso. C'è il limite a cinquanta su questa strada. Invece procedeva a passo d'uomo. Ero qui fuori e l’avevo vista arrivare dalla via laterale come un carro funebre. Quelli hanno una marcia apposita più bassa della prima, sa? E poi sembrava davvero un funerale. Nera era nera. Però era una normale berlina. Il modello? Non glielo saprei dire neanche sotto tortura. Dalla linea sembrava uno di quei vecchi Mercedes degli anni Settanta. Davanti non aveva stemma, però, e sul cofano posteriore non era indicato nulla. Ma anche quello poteva essere perché certe volte i teppisti si divertono a staccare queste cose dalle macchine, il cerchio della Mercedes va alla grande, e poi se le appuntano sulle borse o sugli zaini come un bottino di guerra. Fanno lo scalpo alle macchine, quei maledetti.
E quindi svolta dall'angolo e mi passa davanti alla vetrina. Ho tutto il tempo di notarla da dentro il negozio, insospettirmi e uscire a vedere. Aveva i finestrini oscurati, e quando dico oscurati voglio dire che erano quasi neri. Anche il parabrezza. Non so come facesse la luce a entrare lì dentro. Mi ha ricordato quelle astronavi dei film di fantascienza con i monitor interni che mostrano lo spazio. Solo che invece era una macchina!
Non può negare che fosse sospetto. Vicino a una scuola, per giunta. Ecco cosa sembrava. Un serpente in caccia, in cerca di preda.
Allora mi metto a guardarla fisso. Come a dire "ti ho visto, coglione, meglio che te ne vai perché chiamo la polizia".
Eppure quel carrettone continua lungo la strada. Arriva fino all'angolo opposto alla scuola e poi svolta ancora in Via Dante. Non ci voleva un genio per capire che stava facendo il giro dell'isolato. Sarebbe passato di nuovo davanti alla scuola. Forse sarebbe ripassato anche davanti al negozio, ma avrebbe potuto anche fermarsi da qualche altra parte ad aspettare, dato che l'avevo visto.
Rientro dentro e sto per prendere il telefono e chiamare i Carabinieri. E mi fermo. Che gli posso dire? Che c'è una macchina nera sospetta vicino alla scuola Montalcini? Non so neanche il modello e quello può già essersene andato.
Non mi sono mai considerato un vecchio saggio, ma un po' di conoscenza del mondo pensavo di essermela guadagnata, ormai. E invece no. Invece di chiamare subito chi di dovere sono dovuto entrare in scena, non dico fare l'eroe. Mi sono invischiato in questa faccenda. E ora la gente chiede, mi spia la faccia per capire cosa non dico. Io invece dico tutto.
Dico che non sarei dovuto uscire dal negozio.
Dico che avrei dovuto fare l'inventario.
Qualsiasi cosa pur di non vedere quella macchina.
Ho preso invece il mio blocco degli appunti e una penna da sopra il mio banco. Me li sono messi in tasca e sono uscito quasi di corsa. Non me lo ricordavo neanche da quant'era che non andavo al trotto. Ho una certa età. Ho raggiunto la scuola che mi sembrava mi scoppiasse tutto. Gambe, polmoni, cuore. Tutto. Stavo con la lingua di fuori.
E il bastardo è lì, che continua con la sua marcia funebre. Sta per svoltare di nuovo l'angolo di Via Allende. Allora io tiro fuori il blocchetto e mi segno la targa. Lo faccio proprio davanti alla macchina, mentre gira. Mi sentivo un coglione che giocava al vigile urbano, ma doveva sapere che l'avevo visto, che non gli venissero strane idee. Se gli fossero venute, i Carabinieri l'avrebbero rintracciato con la targa, ma era meglio dissuaderlo, no? Poteva anche essere un'auto rubata.
Io scrivevo e questa specie di carro funebre mi passava lento accanto. È mai stato a visitare un acquario? Ha presente la sensazione quando ci si avvicina al vetro della vasca degli squali e uno di quei bestioni ti passa a poche decine di centimetri? Io ho il terrore degli squali. Ci sono andato una sola volta all'acquario.
Finisco di scrivere il numero. Mi tengo stretto il blocchetto e faccio per attraversare la strada. Volevo andare alla scuola, per avvertire qualcuno e telefonare ai Carabinieri direttamente da lì. E a quel punto la macchina si ferma, mentre io sono già a due passi dal marciapiede. Vedo gli stop che si accendono. Come se la macchina mi avesse visto con quei suoi occhi posteriori. Per un momento, le giuro, ho avuto il terrore che si accendessero le luci bianche della retromarcia, che partisse sgommando e che mi mettesse sotto. Mi sono chiesto persino se gli avrei ammaccato il cofano o se la carrozzeria sarebbe rimasta lucida, fresca di cera. Una volta mi hanno rapinato, ma non ho avuto così paura, forse perché non ne ho avuto il tempo, all'epoca.
Invece la macchina rimane ferma. I numeri della targa iniziano a oscillare, cambiano. Non scompaiono o si deformano. Iniziano a girare attorno a un perno o che so io, qualcosa tipo il meccanismo delle slot machine. Ecco, qualcuno dentro la macchina doveva aver tirato una specie di leva e aveva messo in funzione la slot machine. Un altro numero di targa, a caso. È cambiata anche la provincia. Ed ero sicuro che il caso si sarebbe ripetuto, non aveva importanza quante volte scrivessi il numero sul blocchetto. Dieci volte, cento. Non potevo farci nulla.
Mi sono precipitato verso la scuola, per quanto potevo, per mettere in allarme qualcuno. Gli stop si sono spenti e la macchina ha ripreso a svoltare l'angolo e io sapevo che anche se l'avessi descritta in ogni piccolo particolare lei sarebbe cambiata in qualcosa, nel colore, nella carrozzeria, pure nei tappetini all'interno, se c'erano. Non mi sono mai sentito così impotente, nemmeno quando mi hanno rapinato.
Entro dal cancello principale, ma non faccio in tempo ad arrivare alla rampa dei disabili che sento suonare la campanella e dopo qualche secondo una fiumana di bambini urlanti quasi mi travolge. Era venerdì e il giorno dopo non c'era scuola, erano contenti di essere liberi. Troppo chiasso, troppa gente. Quasi perdo l'equilibrio.
Ho avuto una premonizione mentre tutti quegli studentelli mi sciamavano a fianco. Sarebbe stata una vicenda che mi avrebbe perseguitato negli incubi anche se ne avevo vissuta una piccolissima parte. Nulla in confronto a quello che ha passato quella povera madre. Se avessi saputo cosa sarebbe successo alla piccola Barbara e che non avrei potuto fare nulla per impedirlo, non sarei uscito dal negozio. Avrei fatto l'inventario, piuttosto.
Mi sono fatto strada e ho raggiunto l'entrata della scuola. Intanto i ragazzini erano già in strada, chiacchieravano, gridavano. Erano comparsi anche i genitori. Forse ero troppo impegnato con la macchina per accorgermi di chi c'era intorno. Da dove mi trovavo potevo vedere tutto. Tranne la macchina, perché nel frattempo era scomparsa.
E sa qual è la cosa più buffa? Che l'ho notata solo io. Non era pieno di gente, quella mattina, ma qualcuno c'era. E tutti dicono di non aver visto nulla. Ma non li biasimo per questo. Li capisco.